Quest’anno nell’ambito del Dipartimento delle Arti Visive, la Scuola di Pittura ha organizzato anche come esame finale delle studentesse Ioana Ruse e Andrea Trandafir provenienti da Bucarest nell’ambito del progetto Erasmus+, un evento espositivo nella galleria dell’Accademia di Belle Arti di Bari.

Le due studentesse hanno partecipato con interesse allo svolgimento del piano di lavoro programmato insieme nel corso di questi mesi trascorsi, contribuendo alla realizzazione delle loro opere, esposizione e installazione.

D’IO

Il filo conduttore della loro ricerca è stato il rapporto tra la divinità e l’identità. 

Il vero problema di oggi è il rapporto con questo Dio. Un rapporto, sempre più, messo in crisi dalla società globalizzante che ha sottratto agli uomini, ai luoghi ed alle cose il senso della loro particolarità, inserendole nella folle danza di una progettualità globale che privilegia pochi punti di vista. Perché per andare a cercare Dio non ci dobbiamo smarrire nelle galassie interstellari, ma dobbiamo riconquistare un rapporto rinnovato con la nostra particolarità in cui si manifesta l’Uno. 

Un rapporto che riattiva in noi l’esercizio di quella creatività che è il sintomo inequivocabile della nostra natura divina e che ci fa parlare del Dio interiore. 

Un progetto disceso in noi, così come è disceso in ogni piega dell’universo in cui troviamo la trascrizione del nostro compito che fa parte di un compito più grande ed universale concepito da quella energia che noi chiamiamo Dio e che attraverso questa presa di coscienza non solo ridiscende nella nostra carne, ma discende nelle nostre idee e quindi nel nostro spirito, conferendogli natura divina. Noi diventando Dio anche nella nostra consapevolezza, rimasta esclusa dagli automatismi della divinità, divinizziamo anche il mondo e lo sottraiamo alla dissoluzione introducendolo nell’eternità senza spazio e tempo e mutamento.

Ioana Ruse nel suo progetto analizza il rapporto tra la natura umana e la divinità dentro e fuori l’uomo. 

Esistono elementi comuni che legano l’uomo al divino. Uno di questi è alla base di questo progetto: la stabilità. Se pensiamo ai miti e alle leggende letterarie, gli dei mostrano tratti antropomorfi e un carattere fortemente umanizzato. Ciò che li distingue dagli umani sono i loro poteri soprannaturali e la loro indulgenza. Quando non sono impegnati in guerre o non compiono miracoli, gli dei si godono il lusso dell’immortalità senza fare nulla. Questa pigrizia è desiderabile per gli dei perché significa che possono permetterselo, mentre per gli umani questa indulgenza è considerata un difetto. Le opere di questo progetto seguono proprio questo filo narrativo, della somiglianza dell'uomo ai suoi dei attraverso la comune preoccupazione di stare bene. Il titolo dell’opera “Dei in vacanza” si riferisce proprio al desiderio dell'uomo di identificarsi con il divino e alla posa in cui è più probabile che gli somigli: in vacanza. Nel tempo libero l'uomo si preoccupa solo di sentirsi bene e riposarsi, seduto come un dio in riposo. Il suo potenziale è nascosto. Non sappiamo se non sia capace di fare di più o semplicemente abbia scelto di non fare nulla. In questo caso può diventare e fare qualsiasi cosa, ma non ne ha bisogno, perché ha facilmente realizzato il suo scopo di non fare nulla. Qui si vuole incoraggiare le persone a godersi i momenti semplici di ogni giorno, permettendo loro di incamminarsi verso il vero progresso spirituale per poter raggiungere una conoscenza più elevata e consapevole dello scopo della vita. L’opera raffigura un tipico episodio festivo: un generico paesaggio idilliaco e una figura dormiente di grandi dimensioni. Il suo anonimato lascia aperta l'interpretazione della sua natura umana o divina. L'atmosfera del trittico cerca di riprodurre un effetto di specchiatura. L'immagine raffigura sentimenti semplici e piacevoli, rispecchiando nel fruitore sentimenti benevoli.

In Andrea Trandafir invece, il tema principale della sua ricerca pittorica è il rapporto con se stessa, le persone della sua vita e i luoghi a cui è legata. Per lei questo dipinto “Identità nascosta” è stato realizzato per gioco. Si è lasciata ispirare da immagini più semplici come riviste e fumetti. I colori e i personaggi sono rappresentati in modo kitsch per suggerire la piccola cittadina turistica Constanta in cui è cresciuta, una cittadina senza apertura alla cultura. Andrea fa riferimento alle riviste di gossip e di moda degli anni 2000 che leggeva da giovane ragazza, anche se non le comprendeva e non ne era consapevole. I media in quel periodo storico, hanno avuto una grande influenza sulla percezione del sé della sua generazione, condizionando scelte di vita dei giorni d’oggi. Qui l'uomo rappresenta solo un elemento sessuale. Il suo volto coperto simbolizza il fatto che la sua identità ora è irrilevante. L'opera fa satira sul modo in cui il corpo femminile è stato rappresentato nell'arte nel corso dei tempi e l’ossevatore rimane spiazzato nel leggere le immagini e le frasi dipinte sulla tela. Si identifica anche in un polpo che come un’ameba viene risucchiata, nel suo fluttuare, nei buchi neri dell’universo.  Una denuncia di una realtà poco felice e di un’umanità corrotta.

Ioana e Andrea dialogano quindi in un divenire della vita che rispecchia l’identità di un’umanità che vuole sopravvivere ai funesti intrighi sociali con sentimenti saturi di armonia e amore.

Non l’amore sbandierato da questa società globalizzata, condizionato alla ritrattazione di se stessi e della propria individualità ed irripetibilità. Ma un amore inedito, un amore inscalfibile, permanente, fatto di acciaio temperato.

 

 Prof.ssa Magda Milano